sabato 26 luglio 2014

Le sette lezioni di John Taylor Gatto: 1. Confusione

1. CONFUSIONE
L’altro giorno una signora di nome Kathy mi ha scritto da Dubois, Indiana: “Quali grandi idee sono importanti per i bambini piccoli? Beh, la più grande idea di cui penso abbiano bisogno è che quanto stanno imparando non è stravagante – è un qualche sistema di approccio, e non sta semplicemente piovendo loro addosso mentre assorbono impotenti. E’ questo il compito: capire, rendere coerente”. Kathy si sbagliava. La prima lezione che insegno è quella della confusione. Tutto ciò che insegno è fuori contesto… Insegno la non-correlazione di tutto. Insegno le sconnessioni. Insegno troppo: orbite dei pianeti, legge dei grandi numeri, schiavitù, aggettivi, disegno architettonico, danza, ginnastica, coro, assemblee, ospiti a sorpresa, allarmi antincendio, linguaggi informatici, serate di genitori, giornate per la formazione dello staff, programmi extrascolastici, consigli da estranei che i miei studenti potrebbero non rivedere mai più, test standardizzati, segregazione per età come mai vista nel mondo esterno… Ma cosa hanno a che fare queste cose tra di loro? Anche nelle scuole migliori un attento esame del programma e della sua sequenza rivela una mancanza di coerenza, piena di contraddizioni interne. Fortunatamente i bambini non hanno le parole per definire il panico e la rabbia che provano per le costanti violazioni dell’ordine naturale e della sequenza che viene rifilata loro come qualità nell’educazione. La logica della mente scolastica è che sia meglio lasciare la scuola con un bagaglio di gergo superficiale derivato dall’economia, dalla sociologia, dalle scienze naturali e così via, piuttosto che lasciare i bambini con il loro genuino entusiasmo. Ma la qualità nell’educazione impone di imparare qualcosa in profondità. La confusione è inculcata ai bambini da troppi adulti strani, ognuno dei quali lavora da solo con la minor relazione possibile con gli altri, solitamente vanagloriandosi di una maestria che non possiede. L’apprendimento, e non dei fatti disconnessi, è quel che cercano gli esseri umani sani, e l’educazione è un sistema di codici per elaborare fatti grezzi in un significato. Dietro il mosaico delle routine scolastiche e l’ossessione della scuola per fatti e teorie, si trovano le vecchie, ma ben conservate, menzogne della ricerca umana. Questo è più difficile da vedere in una scuola elementare, dove la gerarchia dell’esperienza scolastica sembra aver maggior senso per via della relazione, semplice e d’indole buona, del “facciamo questo” e “facciamo quello”, che viene assunta come se avesse un significato, e la clientela non ha ancora coscientemente distinto quanta poca sostanza ci sia dietro le apparenze, dietro questa recita. Pensate a tutte le grandi sequenze naturali come imparare a camminare e imparare a parlare; seguendo la progressione della luce dall’alba al tramonto, osservando le antiche tecniche di un agricoltore, di un fabbro, di un calzolaio, guardando vostra madre che prepara il piatto per il Giorno del Ringraziamento – tutte le parti sono in perfetta armonia le une con le altre, ogni azione si giustifica da sé e illumina il passato e il futuro. Le sequenze scolastiche non sono così, non è così in una sola lezione e tantomeno nel complesso delle lezioni quotidiane. Le routine scolastiche sono folli. Non c’è alcuna ragione particolare per nessuna di esse, nulla che meriti un’attenta analisi. Pochi insegnanti oserebbero insegnare gli strumenti se i dogmi di una scuola o di un insegnante potessero essere criticati, in quanto tutto deve essere accettato. Le materie scolastiche vengono imparate se possono essere imparate, così come i bambini imparano il catechismo o imparano a memoria i trentanove articoli della Chiesa Anglicana. Io insegno la non-correlazione di tutto, una frammentazione infinita che è l’opposto della coesione; quel che faccio è più vicino ad una programmazione televisiva che alla composizione di uno schema ordinato. In un mondo dove la casa è solo un fantasma perché entrambi i genitori lavorano, o perché troppi trasferimenti o cambi di lavoro o troppa ambizione o altro hanno lasciato tutti troppo confusi per conservare una relazione familiare, io vi insegno ad accettare la confusione come vostro destino. Questa è la mia prima lezione.
John Taylor Gatto

mercoledì 2 luglio 2014

Motivi per i quali l’insegnante non usa classificare gli alunni (Alberto Manzi)

CLASSE IV SEZ.A 
INS. Alberto Manzi                                Anno scolastico 1974-75


Motivi per i quali l’insegnante non usa classificare gli alunni

Classificare dando una valutazione o un giudizio di merito comparativo, a livello di scuola dell’obbligo, nel pieno sviluppo evolutivo, nel primo impatto e nel successivo adeguamento e nelle ricerche di strutture per una vita associata “migliore”, significa voler dimenticare che la scuola è tale solo se insegna a pensare, solo se aiuta a immettersi con libertà nella società.

Classificare significa impedire un armonico sviluppo intellettivo, rispettoso dei tempi di crescita individuali;

significa impedire un apprendimento cosciente, che nasce, cioè, da un continuo osservare, ragionare, discutere sulle cose; ricerca, questa che non è mai priva di errori, di incompletezze. Ora se si classifica, l’errore l’incompletezza suscita “terrore”, per cui si tende ad evitare la causa del terrore copiando, imparando a memoria definizioni fatte da altri ecc.

Classificare, pertanto, significa obbligare ad accettare definizioni stabilite, pertanto impedire il ragionamento, rendere tutti simili al modello prefisso, significa educare alla menzogna e alla falsità.

Classificare significa ancora educare alla divisione classista (bravi, più bravi, meno bravi, ecc.), significa selezionare, distruggere la personalità.

Classificare significa, purtroppo, distruggere il senso della comunità, dove ogni individuo deve imparare a vivere dando il meglio di se stesso non per lucro (ed anche il voto è lucro) ma nell’interesse della comunità stessa e per il piacere personale che deriva dalla scoperta e dalla conoscenza.

Per tutti questi motivi non ho mai classificato nessun alunno e nessun lavoro degli alunni; né intendo classificare ora le capacità acquisite durante un anno di lavoro.

Se è obbligatoria la classificazione, delego la segreteria della scuola a dare lo stesso voto ad ogni alunno e per ogni materia.

Roma, 7 giugno 1975                                         Ins. Alberto Manzi