sabato 14 giugno 2014

Post Invalsi / Liberate la scuola (intervista di Maria Rosaria Chirulli ad Antonio Saccoccio)

Progetto ambizioso quello di scrivere di una scuola moderna. L’insegnante (e avanguardista) Antonio Saccoccio spiega che se si vuole davvero riformare il sistema scolastico lo si deve colpire al cuore, abolendo voti ed esami

Da dove è nato il bisogno di questo saggio su Ferrer? Perché recuperare oggi questa sua esperienza?
«Il libro su Ferrer nasce da un bisogno crescente negli ultimi anni in diverse cerchie d’avanguardia e libertarie: portare la discussione sulla scuola verso argomenti decisivi.
Ferrer innanzitutto ricorda a tutti noi la vera natura della scuola, quando afferma che nel secolo XIX i governi iniziarono a sostenere le scuole “non perché sperassero attraverso l’educazione un rinnovamento della società, ma perché avevano bisogno di individui, operai, strumenti di lavoro più perfezionati affinché prosperassero le imprese industriali e i capitali a loro dedicati”. E poi comprese che bisognava battersi contro gli esami e i voti, il vero cuore del sistema-scuola. Bisogna colpire il sistema al cuore, se si vuole cambiarlo».
[...]

Quale orizzonte di scuola lei scorge dall'attuale fase storica?
«Io credo che nel futuro che ci attende (che potrà essere tra 15 anni, forse 30 o 40) non ci sarà bisogno di luoghi deputati per l’educazione, perché la Rete globale ci sta mostrando l’ideale di un mondo in cui si apprende costantemente senza bisogno di essere continuamente forzati all’istruzione. Tutto il mondo sarà di nuovo a disposizione del nostro desiderio di conoscere e della nostra curiosità, e questo sì che sarà la realizzazione dei migliori sogni anarchici. Credo quindi che sia destinato a cadere presto e miseramente tutto l’orrendo corredo di questionari, test, schedature, griglie. Abbiamo attraversato una fase storica in cui tutto ciò ci è sembrato giusto e necessario. Oggi tutto questo mondo (il mondo della misurazione fredda e meccanica) è entrato davvero nella sua fase terminale».

lunedì 9 giugno 2014

Il Liceo Unitario Sperimentale di Roma (1971-1979): la testimonianza di Giulio Savelli, ex-studente (seconda parte)

Una buona descrizione del Liceo Sperimentale (LUSS, come recitava la targa appesa accanto al portone della scuola: Liceo Unitario Statale Sperimentale) è quella data dal professor Turchi (mi sembra di ricordare che nel nostro liceo insegnasse scienze) sul sito Treccani.it.[1] Il punto fondamentale è che, differenza da tutte le altre sperimentazioni realizzate in alcune sezioni di alcune scuole negli anni Settanta, sperimentazioni che toccavano appena la didattica e in parte l’offerta formativa, nel Liceo Sperimentale la sperimentazione si concretizzava nella completa autogestione. Ogni aspetto, didattico, organizzativo, disciplinare, era stabilito dall’Assemblea Generale, che riuniva le tre componenti della scuola: insegnanti, studenti, genitori. E poiché il criterio di suffragio era “un uomo, un voto” il peso della componente studentesca era tale da poter essere compensato solo dall’”alleanza” di insegnanti e genitori. Di fatto la gestione era comune sotto ogni punto di vista.
Le materie curricolari, insegnate la mattina, erano più o meno quelle consuete nei licei; il primo biennio era comune a tutti, nel triennio si poteva scegliere fra due indirizzi, classico e scientifico. La didattica era organizzata principalmente intorno al lavoro di gruppo, da svolgersi in classe, senza libri di testo che tracciassero la rotta. C’era però a disposizione una biblioteca d’istituto eccezionale, a scaffale aperto, ricchissima, gestita col contributo volontario e gratuito di genitori-bibliotecari (ricordo la signora Mayer, la signora Pannilini accanto alla stufetta elettrica). L’interdisciplinarietà era la bandiera di ogni materia d’insegnamento, che si incontrava e si intrecciava – talvolta pretestuosamente - con altre affini. La storia contemporanea era privilegiata e i programmi partivano sempre dall’oggi per risalire al passato; anche nell’insegnamento delle materie scientifiche la dimensione storica era tenuta presente. I banchi era disposti (come da consuetudini montessoriane) a ferro di cavallo; si usavano quadernoni ad anello in modo da spostare blocchi di appunti da un settore o da un quaderno all’altro secondo le esigenze. Le classi erano nel biennio di una quindicina di alunni, nel mio triennio eravamo in nove. Soprattutto, non c’erano voti, ma una valutazione discorsiva di fine anno, che consisteva più un feedback che in un giudizio. Non c’erano compiti in classe e neppure a casa; si rimaneva infatti a scuola fino a metà pomeriggio, ma non per esercitarsi nelle materie della mattina bensì per seguire infiniti corsi “extra-curricolari” liberamente scelti da ciascuno che mescolavano gli allievi di sezioni ed età differenti. Non c’erano bocciature.
In un simile contesto scolastico, per quanto riguardava me, ero in salvo. Niente angoscia, quindi nessuna necessità di oppormi. In questo senso il Liceo Sperimentale è stata la mia liberazione e salvezza.

Sono del tutto evidenti i due punti deboli di una simile scuola: l’assenza di spazi per l’esercizio individuale, specie per quello più ripetitivo e noioso che quasi ogni studente evita volentieri, e l’assenza di strumenti di motivazione coercitiva, cioè brutti voti e minacce di bocciatura. La deriva verso il paese dei balocchi probabilmente era congenita nella struttura stessa della scuola, così come era stata concepita, ma avrebbe potuto essere in parte arginata se lo spirito montessoriano delle origini – un’attitudine di serio lavoro in cui vigeva un’autodisciplina scaturita dalla partecipazione attiva all’interno di un piccolo gruppo omogeneo e fortemente motivato – avesse potuto resistere allo spirito dei tempi. Che però non andava verso i Boy Scout ma verso la Rivoluzione.
Il boom delle iscrizioni dell’anno scolastico 1972-73 si tradusse, l’anno successivo, grazie alla piena autogestione, in uno spostamento del baricentro politico della scuola verso sinistra. Il favore che fino ad allora il Ministero aveva accordato alla sperimentazione scomparve improvvisamente. La componente cattolica e montessoriana, ormai ben poco rilevante, si dissolse con il trasferimento d’ufficio ad altro incarico della preside Pecchia e di alcuni insegnanti. Nell’aprile 1974 la palazzina di via Panzini, che era stata assegnata alla scuola nel 1972, venne dichiarata inagibile dai Vigili del Fuoco. Si profilava, di fatto, la fine dell’esperimento e lo scioglimento dell’istituto. A questa prospettiva l’Assemblea Generale reagì con la decisione di occupare (in accordo con la Circoscrizione) un edificio abbandonato su via della Bufalotta, oltre il Grande Raccordo Anulare, in mezzo alla campagna: l’ex-IRASPS.
L’occupazione e la successiva risistemazione del fatiscente edificio fu il secondo momento mitico fondativo nella storia dello Sperimentale. Un momento che può essere ricordato in modi differenti: come un gesto di lotta politica, come un avventuroso romantico slancio di tutta una comunità, come un rilancio esaltato, utopico e isolazionista. Parteciparono tutti, studenti, genitori, insegnanti, venne fatta una colletta e fu un gran lavoro di mani e di braccia. Alla fine c’erano i vetri alle finestre, le pareti ripulite e decorate di murales, una bandiera rossa sul tetto. Le istituzioni, da parte loro, piegate infine dalla lotta, collaborarono con la fornitura di un congruo numero di vecchie stufe a legna di ghisa.
Venne affrontato il problema di ciò che altrove era considerato disciplina, e che allo Sperimentale era anzitutto una questione di democrazia. Lungamente discusso e dibattuto, osteggiato dalle componenti più radicali, sostenuto dai moderati, cioè dall’area che si riconosceva nel PCI, venne infine approvato nel giugno 1974 un Regolamento. Lo si può leggere all’indirizzo http://liceosperimentale.weebly.com/regolamento.html nel sito dedicato allo Sperimentale curato da Roberto Renzetti, allora professore di fisica nella nostra scuola. La nostra Costituzione, per così dire, prevedeva dei limiti all’attività politica nella scuola, limiti assai ampi ma pur sempre limiti, e delle sanzioni nel caso di assenze massicce dalle lezioni. La bocciatura era possibile solo nel caso di assenze superiori al 35% in almeno 4 materie. L’attenzione del legislatore si concentrava cioè sui due maggiori ostacoli all’attività didattica: le assemblee quotidiane e le assenze. Erano inoltre considerati alcuni dettagli: i ritardi, le giustificazioni, il divieto di fumo in classe.
Ci furono notevoli sforzi per rispettare e far rispettare il Regolamento, ma non si può dire siano stati coronati da successi decisivi. Il Regolamento è in realtà la radiografia da cui si evince la realtà quotidiana dello Sperimentale: ciò che lì viene proibito è esattamente ciò che caratterizzava l’andamento normale della scuola. L’attività politica occupava tutto lo spazio che riteneva opportuno occupare, i ritardi erano normali, e comunque la prima mezz’ora, d’inverno, andava via per accendere la stufa e la seconda mezz’ora per discutere se si potesse fumare con la finestra socchiusa o invece aperta o davvero non si potesse fumare affatto – magari uno alla volta…? Tutto poteva, tutto doveva essere discusso e votato, per essere poi discusso di nuovo. Decideva certo l’Assemblea Generale, in linea di principio, ma decideva soprattutto la classe. Questo discutere incessante, sistematico, ossessivo, è stato una palestra dialettica e politica straordinaria, ed era un’attività formativa alla pari o forse più importante, per molti di noi, dello studio. Ma era anche un’attività inane e stravagante, fine a se stessa come un gioco. Una sola volta, che io sappia, si è dato il caso di uno studente che si è trovato a fine d’anno con più del 60% di assenze in tutte le materie. Il caso è stato dibattuto proprio nella mia classe. Il Regolamento prevedeva la bocciatura, ma diceva anche che se le assenze erano dovute a “cause di forza maggiore” si poteva soprassedere. La discussione fu surreale, le assenze erano dovute a cause incerte e praticamente indefinibili. Arrivati al voto, furono per la bocciatura tutti gli insegnanti, i due rappresentanti dei genitori e due degli studenti (io e il mio migliore amico, Lorenzo Ascoli). Gli altri miei compagni di classe però votarono tutti contro, per solidarietà e per principio: e quel ragazzo, di cui nessuno di noi ricordava bene il viso, che nessuno aveva mai conosciuto né frequentato, venne promosso.


                                           (di Giulio Savelli, continua --> )