domenica 14 ottobre 2012

La scuola non ci piace, parola di adolescente (risultati di un'indagine HBSC)

Abbiamo più volte ripetuto che l'apprendimento dovrebbe puntare sulla passione e sul piacere. Il fallimento della scuola si manifesta chiaramente quando i ragazzi e le ragazze iniziano ad odiare la scuola.
Un’indagine HBSC (Health Behaviour in School-aged Children), condotta in collaborazione con i ministeri della Salute e dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, ha messo in luce in modo chiaro la situazione deprimente della nostra scuola. Agli intervistati, ragazzi di 11 e 13 anni, è stato chiesto cosa pensassero della scuola. Ebbene, i risultati sono chiari per tutto il mondo. Mentre ancora a 11 anni i ragazzi accettano  la scuola, già a 13 anni la stragrande maggioranza la giudica negativamente. La scuola italiana, in particolare, si dimostra la più inadeguata. O i ragazzi e le ragazze italiani/e sono i più sensibili e/o insofferenti alla scuola?
Soprattutto per i maschi la scuola risulta insopportabile. La percentuale dei preadolescenti a cui non piace la scuola è addirittura superiore a quella di coloro che, anche se a malincuore, la accettano.
A favore della descolarizzazione ci sono ovviamente motivazioni ben più solide e inoppugnabili, che i giovanissimi ancora non sono in grado di discernere, ma quando persino i tredicenni iniziano a percepire l'inadeguatezza della scuola è forse giunto il momento di prendere immediati provvedimenti.


venerdì 12 ottobre 2012

Giuseppe Tucci: un grande studioso autodidatta parla dell'università italiana

Giuseppe Tucci, grande orientalista, si laureò in lettere, ma fu praticamente un autodidatta. Ecco come ricorda l'Università italiana degli anni Dieci del secolo scorso (i neretti sono miei):


«Debbo subito dire che sin dal primo ingresso nell’Università, questa m’apparve penosa e moritura sopravvivenza di consuetudini d’insegnamento infiacchito e sorpassato [...] L’Università che io, più autodidatta che scolaro, uscito fresco fresco dal liceo e fiducioso di trovare in quella luce ed ispirazione, mi trovai a frequentare, si trascinava sugli schemi delle università tedesche del 1870; troppo cammino avevano percorso da quegli anni l’uomo e la scienza perché non se ne risentissero le conseguenze. Morto era quel mutuo vincolo che determina fra maestro e discepolo una consanguineità inventiva e concreta; al modo che i maestri indiani espressero nel principio govatsanyāya; cioè un rapporto vitale, scambio prodigioso di idee e di affetti. E difatti, se mi permettete di continuare nei ricordi, quando cominciai a seguire i corsi universitari, mi trovai quasi sopraffatto da accademiche dissertazioni, in minoribus, da uno squallido ingombro di nozioni inutili. Spenti erano l’ardore o la corrispondenza che infiammano i giovani; leggendo gli autori, classici ed orientali che fossero, più che mettere in luce, con partecipazione vivace, il bello ed il brutto, il caduco e il durevole, ci si perdeva in un cincischiamento tedioso, in una elencazione compiacente e minuziosa delle opinioni altrui, tutte cose peregrine che ciascuno, volendo, avrebbe potuto da se medesimo ritrovare nei libri e consentirne o dubitarne; e così la valutazione critica o l’accostamento caldo si irrigidivano in quelle angustie»*

Entrando in un'università italiana dopo un secolo dall'esperienza di Tucci, cosa troviamo se non la conferma delle sue amare parole?

* La citazione è tratta da questo Ricordo di Giuseppe Tucci a cura di Raniero Gnoli.