mercoledì 12 dicembre 2012

Istruzione parentale (Circolare n. 74 del 21 dicembre 2006)

Circolare n. 74 del 21 dicembre 2006 


9. Istruzione parentale




I genitori o gli esercenti la potestà parentale che intendano provvedere in proprio all’istruzione dei minori soggetti all'obbligo di istruzione nel primo ciclo, secondo quanto previsto dall’articolo 111 del decreto legislativo n. 297/94, devono rilasciare al dirigente scolastico della scuola del territorio di residenza apposita dichiarazione, da rinnovare anno per anno, di possedere capacità tecnica o economica per provvedervi, rimettendo al dirigente medesimo l'onere di accertarne la fondatezza.
Per quanto attiene all’esame di idoneità degli alunni che si siano avvalsi dell’istruzione parentale o comunque frequentanti scuole non statali e non paritarie, si rinvia alle disposizioni in materia, diramate con la nota prot. n. 777 del 31 gennaio 2006 e con la nota prot. n. 7265 del 31 agosto 2006.
In merito, pertanto, si precisa che:
- gli alunni che frequentano scuole non statali e non paritarie hanno l'obbligo di sottoporsi all'esame di idoneità qualora intendano passare alla scuola pubblica; tale obbligo non sussiste per l'intero periodo di permanenza all'interno dell'istituzione privata;
-a decorrere dal prossimo anno scolastico 2007-2008 potranno sostenere l'esame di idoneità per il passaggio ad una classe della scuola primaria i ragazzi che abbiano la stessa età degli alunni che frequentano la classe di accesso;
- limitatamente al presente anno scolastico è possibile l'esame di idoneità alla seconda classe di alunni in età anticipata;
-sono comunque fatti salvi i diritti di accesso a classe successiva, mediante esame di idoneità, degli alunni che attualmente già frequentano scuole non statali e non paritarie in età anticipata rispetto all'obbligo ordinario.
Si ricorda fin d'ora che l'Amministrazione procederà all'attuazione di indagine ispettiva sul ricorso all'istruzione familiare e sugli esami di idoneità nel primo ciclo per un'attenta considerazione del significato che essi possono assumere come garanzia di un percorso di crescita per tutti.
Procederà altresì all'inserimento nelle rilevazioni integrative di un'apposita funzione per l'acquisizione dei dati relativi ai due elementi oggetto di indagine.

domenica 14 ottobre 2012

La scuola non ci piace, parola di adolescente (risultati di un'indagine HBSC)

Abbiamo più volte ripetuto che l'apprendimento dovrebbe puntare sulla passione e sul piacere. Il fallimento della scuola si manifesta chiaramente quando i ragazzi e le ragazze iniziano ad odiare la scuola.
Un’indagine HBSC (Health Behaviour in School-aged Children), condotta in collaborazione con i ministeri della Salute e dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, ha messo in luce in modo chiaro la situazione deprimente della nostra scuola. Agli intervistati, ragazzi di 11 e 13 anni, è stato chiesto cosa pensassero della scuola. Ebbene, i risultati sono chiari per tutto il mondo. Mentre ancora a 11 anni i ragazzi accettano  la scuola, già a 13 anni la stragrande maggioranza la giudica negativamente. La scuola italiana, in particolare, si dimostra la più inadeguata. O i ragazzi e le ragazze italiani/e sono i più sensibili e/o insofferenti alla scuola?
Soprattutto per i maschi la scuola risulta insopportabile. La percentuale dei preadolescenti a cui non piace la scuola è addirittura superiore a quella di coloro che, anche se a malincuore, la accettano.
A favore della descolarizzazione ci sono ovviamente motivazioni ben più solide e inoppugnabili, che i giovanissimi ancora non sono in grado di discernere, ma quando persino i tredicenni iniziano a percepire l'inadeguatezza della scuola è forse giunto il momento di prendere immediati provvedimenti.


venerdì 12 ottobre 2012

Giuseppe Tucci: un grande studioso autodidatta parla dell'università italiana

Giuseppe Tucci, grande orientalista, si laureò in lettere, ma fu praticamente un autodidatta. Ecco come ricorda l'Università italiana degli anni Dieci del secolo scorso (i neretti sono miei):


«Debbo subito dire che sin dal primo ingresso nell’Università, questa m’apparve penosa e moritura sopravvivenza di consuetudini d’insegnamento infiacchito e sorpassato [...] L’Università che io, più autodidatta che scolaro, uscito fresco fresco dal liceo e fiducioso di trovare in quella luce ed ispirazione, mi trovai a frequentare, si trascinava sugli schemi delle università tedesche del 1870; troppo cammino avevano percorso da quegli anni l’uomo e la scienza perché non se ne risentissero le conseguenze. Morto era quel mutuo vincolo che determina fra maestro e discepolo una consanguineità inventiva e concreta; al modo che i maestri indiani espressero nel principio govatsanyāya; cioè un rapporto vitale, scambio prodigioso di idee e di affetti. E difatti, se mi permettete di continuare nei ricordi, quando cominciai a seguire i corsi universitari, mi trovai quasi sopraffatto da accademiche dissertazioni, in minoribus, da uno squallido ingombro di nozioni inutili. Spenti erano l’ardore o la corrispondenza che infiammano i giovani; leggendo gli autori, classici ed orientali che fossero, più che mettere in luce, con partecipazione vivace, il bello ed il brutto, il caduco e il durevole, ci si perdeva in un cincischiamento tedioso, in una elencazione compiacente e minuziosa delle opinioni altrui, tutte cose peregrine che ciascuno, volendo, avrebbe potuto da se medesimo ritrovare nei libri e consentirne o dubitarne; e così la valutazione critica o l’accostamento caldo si irrigidivano in quelle angustie»*

Entrando in un'università italiana dopo un secolo dall'esperienza di Tucci, cosa troviamo se non la conferma delle sue amare parole?

* La citazione è tratta da questo Ricordo di Giuseppe Tucci a cura di Raniero Gnoli.

lunedì 27 agosto 2012

Gli esami causano danni (ricordando Francisco Ferrer i Guardia)

Gli esami sono probabilmente il momento più indecoroso dell'intera istituzione scolastica. Sono causa di: studio meccanico; inutili sforzi; disaffezione al sapere; vanità; arrivismo.
Gli esami sono la chiara conferma che la scuola non ha come fine la reale umana crescita dell'individuo, ma lo sviluppo dei suoi lati peggiori, che gli saranno utili ad imporsi sugli altri negli anni successivi.

Con grande lucidità i pensatori della libertà hanno sempre avuto chiaro questo problema. Riportiamo qui l'articolo di Francisco Ferrer i Guardia tratto dal Boletín de la Escuela Moderna. 
Los exámenes clásicos, aquellos que estamos habituados a ver a la terminación del año escolar y a los que nuestros padres tenían en gran predicamento, no dan resultado alguno, y si lo producen es en el orden del mal.
Estos actos, que se visten de solemnidades ridículas, parecen ser instituídos solamente para satisfacer el amor propio enfermizo de los padres, la supina vanidad y el interés egoísta de muchos maestros y para causar sendas torturas a los niños antes del examen, y después, las consiguientes enfermedades más o menos prematuras.
Cada padre desea que su hijo se presente en público como uno de los tantos sobresalientes del colegio, haciendo gala de ser un sabio en miniatura. No le importa que para ello su hijo, por espacio de quince días o un mes, sea víctima de exquisitos tormentos. Como se juzga por el exterior, se viene a la consideración que los dichos tormentos no son tales, porque no dejan como señal el más pequeño rasguño ni la más insignificante cicatriz en la piel...
La inconsciencia en que se vive con relación a la naturaleza del niño y a lo inicuo de ponerle en condiciones forzadas para que saque de su flaqueza psicológica fuerzas intelectuales, sobre todo en la esfera de la memoria, impide a los padres ver que un rato de satisfacción de amor propio, puede ser la causa, como ha sucedido muchas veces, de enfermedad, de la muerte moral y material de sus hijos.
A la mayoría de los profesores, por otra parte, estereotipadores de frases hechas, inoculadores mecánicos, más que padres morales del educando, lo que más les interesa en los exámenes es su propia personalidad y su estado económico; su objeto es hacer ver a los padres y demás concurrentes a los exámenes, que el alumno, bajo su égida, sabe muchísimo, que sus conocimientos en extensión y caridad exceden a lo que se podía esperar de sus cortos años y al poco tiempo que hace ha estado en el colegio de tan meritísimo profesor.
Además de esa miserable vanidad, satisfecha a costa de la vida moral y física del alumno, se esfuerzan, esos determinados maestros, en arrancar plácemes del vulgo, de los padres y demás concurrentes ignaros de lo que pasa en la realidad de las cosas, como un reclamo eficacísimo que les garantiza el crédito y el prestigio de la Tienda Escolar.
En crudo, somos adversarios impenitentes de los indicados exámenes. En el colegio todo tiene que ser efectuado en beneficio del estudiante. Todo acto que no consiga ese fin debe ser rechazado como antitético a la naturaleza de una positiva enseñanza. De los exámenes no saca nada bueno y recibe, por el contrario, gérmenes de mucho malo el alumno. A más de las enfermedades físicas susodichas, sobre todo las del sistema nervioso y acaso de una muerte temprana, los elementos morales que inicia en la conciencia del niño ese acto inmoral calificado de examen son: la vanidad enloquecedora de los altamente premiados; la envidia roedora y la humillación, obstáculo de sanas iniciativas, en los que han claudicado; y en unos y en otros, y en todos, los albores de la mayoría de los sentimientos que forman los matices del egoísmo.

Sono parole del 1902 e dopo 110 anni nulla sembra essere cambiato. Stress fisico e psicologico. Studio insensato. Vanità dei professori e degli alunni. Umiliazioni. Egoismo.
Gli esami provocano danni.
Lottiamo per eliminarli. O cerchiamo di limitare i loro danni al minimo.

Antonio Saccoccio





venerdì 20 luglio 2012

La letra con sangre entra (Francisco de Goya)



Francisco de Goya, La letra con sangre entra o Escena de escuela (c. 1780 - 1785?). 19,7 x 38,7 cm. Óleo sobre lienzo. Museo de Zaragoza (adquirido por el Gobierno de Aragón en 2008 a la Galería Caylus).

mercoledì 30 maggio 2012

Giovani che scimmiottano i vecchi e dimenticano se stessi: il fallimento dell'educazione (Max Stirner)

Uno dei danni maggiori causati dall'educazione scolastica è costituito dalla pretesa che il giovane debba assorbire determinate credenze sul mondo senza porle in discussione. Il giovane ha solo il compito di riempire il proprio cervello di ciò che gli viene proposto come "sapere". E' incredibile come si possa, nel terzo millennio, credere ancora che un giovane debba crescere bene assorbendo il mondo degli adulti così com'è, senza filtrarlo, adattarlo, contestarlo. Quante volte si dovrà ancora assistere al deprimente spettacolo di giovani costretti a ripetere stancamente la stanca retorica degli adulti sulla giustizia, sul razzismo, sulla meritocrazia, sul pacifismo, sulla violenza, sulla legalità? Fino a quando il giovane sarà dichiarato "adulto" soltanto dopo essersi bene impregnato dei valori a lui trasmessi dalla generazione precedente?
Già un secolo e mezzo fa, Max Stirner aveva messo in guardia, ne L'unico e la sua proprietà, da questo pericolo. 
Chi non avrebbe osservato, coscientemente o inconsciamente, che tutta la nostra educazione è intesa a far nascere in noi dei sentimenti, anziché permetterci di crearli da noi bene o male? Se qualcuno pronuncia davanti a noi il nome di Dio, noi dobbiamo esser compresi di timor di Dio; se il nome del principe, noi dobbiamo accoglierlo con rispetto, con venerazione e con devozione; se quello della morale, noi dobbiamo rappresentarci qualcosa di inviolabile; se quello del maligno e dei malvagi, noi abbiamo il dovere di rabbrividire.
Tutto è inteso a instillarci quei sentimenti, e chi, per avventura, dimostrasse di udire con compiacenza le imprese dei malvagi, si renderebbe meritevole d'esser "castigato ed educato" colle verghe. Così rimpinzati di sentimenti imposti, noi ci presentiamo alla sbarra della età adulta per esser dichiarati "maggiorenni".
Il nostro bagaglio è composto di "sentimenti sublimi, di massime entusiastiche, di principi eterni, ecc.
"I giovani devono cinguettare al modo dei vecchi; e i maestri di scuola si impegnano per apprender loro l'antica melodia; e sol quando l'hanno mandata a memoria li proclamano adulti.
A noi non è permesso di sentire — ad ogni cosa, ad ogni nome che ci si affaccia — quello che vorremmo e potremmo pensare; non di figurarci, per esempio, qualche cosa di ridicolo di irriverente quando si pronuncia dinanzi a noi il nome di Dio; bensì ci è sempre prescritto quello che in un dato momento dobbiamo sentire e pensare.
Se siamo costretti a crescere pensando e sentendo come coloro che ci hanno preceduto, per forza di cose finiremo per sacrificare noi stessi. L'educazione in questo modo annichilisce la nostra umanità, la nostra volontà, la nostra aspirazione al piacere.
La mia anima o il mio spirito devono esser foggiati come desiderano gli altri, non come bramerei io stesso. Quanta fatica costa ad ognuno il conquistarsi un sentimento proprio ed indipendente quando sente pronunciar dinanzi a sé un qualche nome, il ridere in faccia a colui che quando ci parla attende da noi un viso compunto! Ciò che c'instillarono nell'animo è una cosa straniera, e perciò "santa"; donde la difficoltà di spogliarci del "santo rispetto per essa".
È per uso oggi di celebrare anche la "serietà", la serietà "nelle cose e nei dibattiti di grande importanza", la "serietà tedesca". Questa specie di serietà dimostra assai bene quanto siano antiche e serie la pazzia e l'ossessione. Poiché nessuno è più serio del pazzo quand'egli si trova nel punto centrico della sua pazzia dacché allora egli prende la cosa tanto sul serio che non tollera scherzi.
La sacralità e la santità del sapere, la serietà della conoscenza: altra maniera violentissima per censurare la scoperta, la curiosità, l'umanità. E' serio e sacro ciò che ci viene dai saggi antichi, non ciò che possiamo scoprire e creare noi stessi. Questi i danni della scuola e dell'educazione.

Antonio Saccoccio

venerdì 20 aprile 2012

Modalità di adempimento dell'obbligo scolastico (Decreto Legislativo 16 aprile 1994, n. 297)

Decreto Legislativo 16 aprile 1994, n. 297
Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di istruzione

PARTE II  -  ORDINAMENTO SCOLASTICO
TITOLO II  -  L'ISTRUZIONE OBBLIGATORIA: DISPOSIZIONI COMUNI ALLA SCUOLA ELEMENTARE E MEDIA
CAPO I - Obbligo scolastico
Art. 109 - Istruzione obbligatoria

1. In attuazione dell'articolo 34 della Costituzione, l'istruzione inferiore è impartita nella scuola elementare e media. Essa ha la durata di almeno otto anni ed è obbligatoria e gratuita.
2. La scuola elementare ha la durata di anni cinque.
3. La scuola media ha la durata di anni tre.

Art. 110 - Soggetti all'obbligo scolastico

1. Sono soggetti all'obbligo scolastico i fanciulli dal sesto al quattordicesimo anno di età.
2. Agli alunni handicappati è consentito il completamento della scuola dell'obbligo anche fino al compimento del diciottesimo anno di età.
3. L'individuazione dell'alunno come persona handicappata va effettuata con le modalità di cui all'articolo 313.

Art. 111 - Modalità di adempimento dell'obbligo scolastico

1. All'obbligo scolastico si adempie frequentando le scuole elementari e medie statali o le scuole non statali abilitate al rilascio di titoli di studio riconosciuti dallo Stato o anche privatamente, secondo le norme del presente testo unico.
2. I genitori dell'obbligato o chi ne fa le veci che intendano provvedere privatamente o direttamente all'istruzione dell'obbligato devono dimostrare di averne la capacità tecnica od economica e darne comunicazione anno per anno alla competente autorità.

Art. 112 - Adempimento dell'obbligo scolastico
1. Ha adempiuto all'obbligo scolastico l'alunno che abbia conseguito il diploma di licenza della scuola media; chi non l'abbia conseguito è prosciolto dall'obbligo se, al compimento del quindicesimo anno di età, dimostri di avere osservato per almeno otto anni le norme sull'obbligo scolastico.
Art. 113 - Responsabili dell'adempimento dell'obbligo scolastico
1. Rispondono dell'adempimento dell'obbligo i genitori dell'obbligato o chiunque a qualsiasi titolo ne faccia le veci.
Art. 114 - Vigilanza sull'adempimento dell'obbligo scolastico


1. Il sindaco ha l'obbligo di trasmettere ogni anno, prima della riapertura delle scuole, ai direttori didattici l'elenco dei fanciulli che per ragioni di età sono soggetti all'obbligo scolastico, con l'indicazione del nome dei genitori o di chi ne fa le veci.
2. Iniziato l'anno scolastico, l'elenco degli obbligati è confrontato con i registri dei fanciulli iscritti nelle scuole al fine di accertare chi siano gli inadempienti.
3. L'elenco degli inadempienti viene, su richiesta dell'autorità scolastica, affisso nell'albo pretorio per la durata di un mese.
4. Trascorso il mese dell'affissione di cui al comma 3, il sindaco ammonisce la persona responsabile dell'adempimento invitandola ad ottemperare alla legge.
5. Ove essa non provi di procurare altrimenti l'istruzione degli obbligati o non giustifichi con motivi di salute, o con altri impedimenti gravi, l'assenza dei fanciulli dalla scuola pubblica, o non ve li presenti entro una settimana dall'ammonizione, il sindaco procede ai sensi dell'articolo 331 del codice di procedura penale. Analoga procedura è adottata in caso di assenze ingiustificate durante il corso dell'anno scolastico tali da costituire elusione dell'obbligo scolastico.
6. Si considerano giustificate le assenze dalla scuola di cui all'articolo 17, comma 4, della legge 22 novembre 1988, n. 516 e all'articolo 4, comma 4, della legge 8 marzo 1989 n. 101.

martedì 6 marzo 2012

Le uniformi a scuola: avanti con la militarizzazione dell'esistenza

Per comprendere quanto possa essere nocivo l'autoritarismo degli adulti nei confronti dei ragazzi e dei bambini, è necessario leggere la pagina dedicata oggi al tema dell'educazione sul Corriere della Sera. L'articolo principale intitolato Le uniformi a scuola contro la sindrome di Lolita ci informa del tema in tutta la sua sconcertante gravità. Leggiamo:


La senatrice francesce Chantal Jouanno ha presentato in Parlamento il suo rapporto intitolato «Contro l' iper-sessualizzazione, una nuova battaglia per l'uguaglianza», e il ministro della Solidarietà Roselyne Bachelot ha promesso di seguirne le raccomandazioni. Per «difendere i nostri bambini dalla confusione illustrata dallo stesso termine di pre adolescenza», che toglie anni preziosi a quella che dovrebbe essere «infanzia», il rapporto Jouanno auspica alcune prime misure concrete: divieto dei concorsi di bellezza per «mini-miss», e ritorno all' uniforme scolastica sin dalle elementari. Se l'erotizzazione dell' esistenza comincia presto, bisogna allora anticipare anche la lotta contro i jeans a vita bassa.


L'uniforme a scuola e l'ennesimo disperato tentativo di reintrodurla. Di questo si tratta. Erotizzazione, pericoli della pre-adolescenza, confusione, concorsi di bellezza non sono altro che parole-scudo dietro alle quali si nasconde un altro patetico tentativo di ripristinare uno degli elementi più retrogradi e imbecilli della scuola passata: la divisa! il grembiule! uguale per tutti! E quindi: controllo e militarizzazione del bambino-operaio-soldato agli ordini dell'adulto-padrone-generale! Il termine e l'aggettivo "uniforme" dovrebbe - questa sì! - essere vietato in contesti educativi. Il problema è che il culto dell'uniforme è concepito e teorizzato da chi del grigiore uniforme ha fatto un sistema di vita. Gli adulti ingrigiti vogliono precocemente ingrigire i giovani uniformandoli al proprio sistema di vita, irreggimentato, gretto, claustrofobico. Infelice.


Che l'erotizzazione precoce sia una scusa per riproporre la divisa è chiaro dalle semplicissime obiezioni che una mente poco più acuta di quella della senatrice potrebbe opporle. Obiezioni che sono correttamente espresse al termine dell'articolo, riportando le parole del sociologo Michel Fize che afferma:



Bisogna riconoscere che oggi le ragazzine pure molto giovani affermano una femminilità della quale vanno fiere, mentre il loro punto di vista è totalmente assente nel rapporto. Più che sottomesse, direi poi che padroneggiano completamente l'uguaglianza tra i sessi. Infine, l' erotizzazione diffusa è un problema che tocca tutta la società, è difficile isolarlo e combatterlo solo sotto i 12 anni.


Quindi, è chiaro che l'ipersessualizzazione dei bambini e delle bambine non è il punto centrale della situazione. Il punto è che la visione che si vuole imporre è esclusivamente quella dell'adulto, mentre ciò che sentono, provano e pensano bambini e ragazzi non è minimamente preso in considerazione.
Ma la povera Chantal Jouanno non ha evidentemente gli strumenti per comprendere qualcosa che vada al di là della sua pochezza, è una donna che fa politica ed evidentemente segue l'onda del sentimento popolare. Quale onda? Quella, sempre presente in ogni momento, dei tanti nostalgici dei bei tempi andati, in cui tutto filava liscio nelle scuole: tutti irrigiditi dietro il banco, ubbidienti e impauriti, in soggezione durissima e costante, pronti a rispondere a domanda inutile con risposta rapida precofenzionata (sempre altrettanto inutile, si intende). Tutto sotto controllo. Voi fate i bambini-operai, noi siamo gli adulti-padroni!
Tra questi nostalgici della scuola-carcere-fabbrica di deficienti, compare nella stessa pagina la solita opinionista di buon senso a cui non si nega mai la parola in questi casi, tale Federica Mormando, che nell'articolo di commento ci regala un pezzo di sublime bravura e pathos inarrivabile (!). Leggiamo integralmente, perché non vogliamo modificare una sola virgola.


La divisa è in primo luogo un'affermazione, non un divieto. La divisa afferma che siamo nel tempo della nostra vita dedicato allo studio a scuola. Siamo scolari e la nostra funzione è imparare. E siamo un gruppo. Il che incita alla solidarietà, tanto è vero che la divisa era stata proposta anche fra i mezzi per prevenire il bullismo. Si è di «questa» scuola, e se ne può andare orgogliosi, se il corpo insegnante si dà da fare per questo. Si può essere fieri della propria divisa, come lo sono i militari che credono nella loro missione. Si può essere rispettati per la divisa: incontrare il proprio medico sempre in camice sulla spiaggia in costume, lascia perplessi, perché suggerisce altri ruoli, incrina un po' l'immagine cara al paziente. I segnali esterni dei ruoli e delle funzioni sono importanti simboli, che giungono diretti e chiari più delle parole. La divisa a scuola è una dichiarazione di adesione al ruolo di scolaro, una piccola corazza contro la licenza di giocare, e anche contro vagabondaggi della fantasia che un abbigliamento sexy favorisce, ai bambini, ma anche agli adulti.


Non c’era bisogno certo di queste parole per ribadire la morte del giornalismo in Italia, ne abbiamo esempi frequentissimi. Difficile è però restare indifferenti leggendo tante stupidaggini in poche righe. Il problema è che quelle stupidaggini sono di una pericolosità estrema. Rileggiamo: “La divisa afferma che siamo nel tempo della nostra vita dedicato allo studio a scuola. Siamo scolari e la nostra funzione è imparare”. Esilarante. Non possiamo avere dubbi: c’è un tempo della nostra vita da dedicare allo studio a scuola e basta mettersi una divisa per ricordarcelo tutti quanti! Ora, qui le questioni sono due: 1. si dà per scontato il fatto che la divisione della nostra vita in tempi forzati sia sana; 2. si dà per scontato in modo altrettanto inquietante il fatto che sia sano imporre a tutti i ragazzi di indossare una divisa per poter espletare la “funzione” di imparare. Sarebbero idee esilaranti, se non fossero ripugnanti. Ripugnante è infatti il successivo paragone con il militare, che conferma una volta di più che questa illustre opinionista non ha la minima cognizione della gravità delle proprie affermazioni. Paragonando scolari a militari non si rende conto di affermare direttamente ciò che è nascosto in tutto il suo discorso: la visione militarizzata dell’esistenza. Inoltre le sfugge forse un piccolo particolare: il soldato sceglie di indossare un’uniforme, allo scolaro si vuole imporre la divisa. Ma questo sempre se nella sua illustre testa esiste la differenza tra scelta e imposizione, della qual cosa iniziamo a questo punto a dubitare. Ridiamo solo dell’immagine del medico in spiaggia, perché accanirsi non è necessario: l’immagine è sballata e fuori luogo, ma almeno non è pericolosa come le altre. Ma torniamo seri perché ora il gioco si fa duro. Ecco la professione di fede: "I segnali esterni dei ruoli e delle funzioni sono importanti simboli, che giungono diretti e chiari più delle parole. La divisa a scuola è una dichiarazione di adesione al ruolo di scolaro, una piccola corazza contro la licenza di giocare, e anche contro vagabondaggi della fantasia che un abbigliamento sexy favorisce, ai bambini, ma anche agli adulti".
Ecco che tornano in bella evidenza le parole-chiave: ruoli e funzioni. Gli individui, e quindi anche i bambini, non sono considerati in quanto autonomi individui dotati di proprie personalissime aspirazioni, ma sono ingabbiati in ruoli e funzioni sociali. Mai confessione poteva essere più chiara. Contano ruoli e funzioni: il resto ovviamente è trascurabile.
Ma il lessico autoritario della privazione e della “vita dura” deve ancora arrivare. Leggiamo la parte conclusiva dell’articolo:


Il senso della trasgressione è collegato a quello del dovere, senza il quale — lo vediamo — del piacere resta solo la ricerca esasperata e alla fine vana. Una divisa è un messaggio anche per i genitori: mortificare l'infanzia mascherandola da sex-symbol non è lecito nei luoghi seri dell'istruzione. Un provvedimento di questo genere è occasione per spiegare concetti dimenticati, rimettere a nuovi valori stropicciati, re-inaugurare la disciplina, quella vera, che forma la persona e regola la convivenza. E per restituire a bimbe e bimbi il senso dell'infanzia, che non è più pura o più serena o più etica dell'età adulta: è semplicemente un'altra età, che l'imitazione di modelli adulti inaridisce. E rendere obbligatorio lo studio di questi concetti a genitori confusi potrebbe restituirgli la loro divisa: quella di genitori.


Eccoci qui arrivati al capolinea: senso del dovere, serietà dell’istruzione, concetti dimenticati e valori stropicciati (ah quei bei valori di una volta!), disciplina, obbligatorietà. Di fronte a quest’armamentario rivoluzionario non possiamo che alzare bandiera bianca. Tutto è chiaro. La nostra cara opinionista non ha in mente il modello della scuola-carcere, ma quello della vita-lager.
I bambini - ci dice - vanno restituiti all’infanzia, perché i modelli adulti non vanno imitati. I modelli adulti - ce l’ha fatto capire chiaramente - vanno invece imposti, perché tutti i bambini dovranno mettersi una divisa, pronti a diventare come gli adulti: tristi e grigi operai della vita.


Antonio Saccoccio

giovedì 9 febbraio 2012

Contro la scuola e contro il sistema: ricordando gli anni Sessanta (e il Futurismo)

Le contestazioni studentesche degli ultimi anni hanno dato la misura della miseria intellettuale, passionale e ideale della postmodernità. Abbiamo visto studenti arrivati al punto di chiedere di essere più studenti di quello che sono: hanno reclamato più investimenti per la scuola (!); hanno manifestato accanto a professori (sic) universitari; ci hanno regalato cortei molli e deprimenti, conditi di slogan privi di qualsiasi idea alternativa e radicale.
E' per questo che bisogna tornare a ricordare che invece nel secolo scorso abbiamo vissuto due grandi momenti di critica autentica e totale all'istituzione scolastica e universitaria: il primo legato alle prime avanguardie e soprattutto al Futurismo (che si scagliò violentemente contro le accademie, le scuole e le università, il professoralismo), il più recente legato agli anni Sessanta-Settanta e all'ultima grande avanguardia: il Situazionismo.
E' da questo secondo momento, proprio perchè più vicino a noi negli anni, che può e deve ripartire l'analisi e la critica della scuola e dell'università.
Può essere utile, per un giovane studente e universitario di oggi, rileggere ad esempio alcune affermazioni di Mauro Rostagno, tra i protagonisti degli anni della contestazione in quell'incredibile fucina che fu la facoltà di sociologia di Trento.
Ecco uno dei punti fondamentali per Rostagno:




Lotta contro la scuola. Contro ogni tipo di scuola. Quella attuale, ma anche quella riformata. Quella arretrata, ma anche quella avanzata. Non più distinzioni tra scuola buona e scuola cattiva, tra professore buono e professore cattivo, tra autorità "tecnica" (cioè "giusta") e autoritarismo (eccessivo, da correggersi).



Questo appare ancora oggi un punto ineliminabile della questione. Al di là della possibilità evidente di rendere meno amara e nociva l'esperienza scolastica, dobbiamo porci il problema nei suoi termini più brutali: la scuola è in sè un'istituzione oppressiva e autoritaria, quindi non c'è un modo di fare scuola buono e uno cattivo. E occorre partire dall'assunto che "la soluzione del problema non sta nelle riforme tecnocratiche nè in compromessi politici, ma nello sviluppo della lotta, nel suo allargamento e nella sua radicalizzazione".

Il secondo punto che merita attenzione è il seguente:




La lotta contro la scuola è già lotta contro il sistema, proprio nella misura in cui quella "parte" non è attaccata per essere riformata, funzionalizzata, ma al contrario è messa in discussione in quanto tale. Lotta senza possibilità di vittoria fino a che rimane tale, e cioè lotta di una "parte" contro il "tutto". Perchè, e lo si è visto bene, tutte le altre "parti", a questo punto, ti si rivoltano contro. Repressioni e riformismo ti chiudono, e non hai più scampo. Magistratura, Polizia, Esecutivo, Partiti, Mass-Media, Corpo Docente, Chiesa, Famiglia, ecc... sono messe in movimento, in difesa, appunto, non tanto della scuola, ma del sistema stesso, che attraverso la scuola è stato messo in discussione.



Deve essere chiaro che la lotta contro la scuola è la lotta contro il mondo sfatto e brutalizzato, grevemente strutturato sull'utilitarismo e sulle gerarchie di potere. Di questo oggi non ne sono purtroppo più consapevoli gli studenti, che lottano anzi per fare ancora più scuola, quindi per essere ancora più addestrati alla gerarchizzazione futura.
Ora, se si dà una ripulita al lessico e a qualche ideologismo datato (tutta la retorica di classe può essere tranquillamente eliminata), risulta ancora drammaticamente valida la critica alla scuola condotta più di 40 anni fa. Ciò che è drammatico è l'assoluta inconsistenza delle presunte contestazioni giovanili odierne. Lo abbiamo già detto altre volte: si tratta delle tipiche rivolte postmoderne, raduni spettacolari per darsi un tono da pseudo-ribelle, farsi una gita lontano da mamma e papà, e farsi una foto da mettere su facebook. Ma al di là del giorno o dei giorni di festa (neppure così trasgressiva) non resta che l'amarezza per aver dimenticato il motivo e l'obiettivo per cui contestare e lottare. L'anestesia in cui siamo piombati è avvilente, è vero. Ma è anche vero che ci sono voluti 50 anni per riprendere le battaglie futuriste contro scuola e accademie, e ora ne sono passati quasi 50 dalle battaglie situazioniste e sessantottesche. E allora dobbiamo sperare che ribellioni come quelle se ne possano avere solo due in ogni secolo, e quindi è il caso di svegliarci perchè è giunto per noi il momento di timbrare il cartellino della rivolta anche nel secolo XXI.



Antonio Saccoccio